Sono questo e sono quello... tutte immagini e ruoli che in realtà sono in-form-azioni: azioni nella forma. Mi rappresentano ma non sono me.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
Bill Watterson
e non lo affermo dal pulpito, lo dico per esperienza diretta e per le esperienze che mi condividono i miei clienti.
Proprio pochi giorni fa, durante una seduta di counseling, è uscito il tema del senso di colpa e individualità, ma sfido chiunque a non averlo mai affrontato - io per prima.
Il tema volgeva intorno al rapporto con i genitori e in particolare sul desiderio di distacco da loro e le difficoltà che si incontrano nel renderlo possibile in modo naturale e fluido.
Renderci autonomi è un atto che si dovrebbe fare da giovani, e tutti noi in qualche modo l'abbiamo fatto: da piccolini nel momento in cui ci siamo resi conto che mamma e noi eravamo due persone distinte, fino all'adolescenza quando abbiamo fatto le nostre scelte e ci siamo affacciati al mondo.
Eppure, nonostante crediamo di essere autonomi, anche da adulti soffriamo per la nostra indipendenza.
Ti faccio un esempio:
metti caso che in questo momento, per qualsiasi ragione, tu non senta il desiderio di incontrare tua madre. Lei ti chiama, cerca un contatto, ti invita a un'incontro e tu non sai che fare. Il tuo amore o affetto per lei è insindacabile ma non sai come declinare l'invito per cui:
o racconti una bugia e non ci vai
o rispondi a monosillabi, accetti l'incontro e fai in modo che tutto finisca velocemente.
Alla fine dell'incontro tutto pare "filare liscio" ma qualcosa dentro di te stride ed ecco spuntare una sensazione strana nella pancia, nella testa o chissà dove altro (dipende da dov'è il tuo centro "preferito" di somatizzazione delle emozioni che reputi scomode).
Fai spallucce, bevi una tisana rilassante, ma il groppo rimane lì e la volta successiva si ripresenta tale e quale.
E' successo che per amor suo, per non ferirla o per non farla preoccupare, sei scesa a un compromesso con te stessa e la cosa ti risulta assai fastidiosa.
Non tutti se ne rendono conto, purtroppo, e perpetuano questo tipo di comportamento, ma tu, se sei qui, forse vuoi capire e rompere questo schema illusorio di autonomia.
Si è manifestato prima durante o dopo l'incontro?
Mi spiace dirtelo: è accaduto in tutti e tre i casi perché in tutti era presente un giudizio profondo che suggeriva qualcosa tipo: così come sei non vai bene.
1- Prima dell'incontro: se avessi detto di no a tua madre lei avrebbe potuto pensare che non le vuoi più bene e - vero o no - decidendo di fare la "brava bambina" hai sminuito il tuo valore anteponendo lei a te.
Sebbene la ragion comune suggerisca di essere generosi, questo comportamento non lo è affatto, se lascia quella sensazione di inadeguatezza.
2- Durante l'incontro: avresti voluto essere da tutt'altra parte col risultato di arrivare a provare perfino rabbia nei suoi confronti incolpandola per la situazione fastidiosa che stavi vivendo.
La rabbia nasce dal giudizio che ciò che stai percependo non va bene, per cui è facile spostarla verso l'altro incolpandolo. Rivolgere la rabbia verso se stessi sarebbe troppo ingombrante se non addirittura doloroso - e questo lo facciamo miriadi di volte nella nostra vita.
3- Dopo l'incontro: hai sentito un leggero senso di rilassamento perché finalmente tutto era finito, ma dentro di te non eri in pace. Puoi aver provato affetto per tua madre scegliendo la soddisfazione di averla in ogni caso accolta, ma non eri soddisfatta di te perché in fondo in fondo hai mentito.
Questa menzogna, inconsapevolmente, ti rimane attaccata dando forza a quella voce interiore che ancora dice: non vai bene così come sei.
Lo vedi da te: in tutti i casi il senso di inadeguatezza e di giudizio è evidente.
Il senso di colpa è strisciante mentre il tuo valore finisce sotto i tuoi piedi e viene calpestato.
Ti rispondo con le parole di Avikal Costantino dal suo libro" Libertà di Essere se Stessi":
Il senso di valore è probabilmente l'aspetto fondamentale attaccato al Superego (l'artefice di quella voce interiore di cui si parlava prima). (...) Attraverso una dinamica di controllo basata sui giudizi, pregiudizi, valori e criteri di comportamento definiti originariamente dai genitori, il giudice ti nega qualunque valore intrinseco. Nega il fatto che tu abbia valore semplicemente perché esisti, e afferma che vali solo se sei in un certo modo. Se sei come vuole tua madre, lei ti vuole bene e tutto è a posto ma, se non ti comporti in modo inaccettabile allora le fai male e probabilmente lei smetterà di amarti.
E' questo il punto fondamentale: lei smetterà di amarti!
E questo bisogno è così profondo in ognuno di noi che non ce ne accorgiamo. Se facciamo attenzione, la maggior parte (se non tutte) le nostre relazioni si basano su questo bisogno e non solo quella con i nostri genitori.
Succede con gli amici, con i partner, con i colleghi di lavoro e... con i figli. Se fossi stata tu al posto di tua madre: avresti preferito conoscere la verità o saresti stata bene in un contesto come quello che abbiamo analizzato?
Probabilmente ti saresti sentita imbarazzata perché il tuo intuito avrebbe suggerito che qualcosa non stava andando per il verso giusto e allora avresti dovuto decidere se affrontare tua figlia dando voce a quell'intuizione, oppure avresti cercato di interpretarla trovando una giustificazione accettabile tipo "forse è stanca, lavora troppo", oppure ti saresti sentita spaccata fra il dar fiducia al tuo intuito o fingere di nulla.
Sì, certo, ti saresti potuta sentire triste di fronte al diniego di tua figlia, ma la sincerità (anche se può far male) avrebbe dato a entrambe l'occasione di evolvere facendo i conti con i propri bisogni e il proprio valore, col risultato di poter finalmente relazionarti in modo autentico e leale.
Vedi: ogni volta che mentiamo agli altri e a noi stessi (che è la stessa cosa da un certo punto di vista) non permettiamo all'altro di conoscerci.
Offriamo un'immagine di noi che non è autentica e lo mettiamo nella situazione di doverci interpretare. E questo, purtroppo lo facciamo spesso.
Quante volte -e non lo nego: l'ho fatto io stessa un sacco di volte - abbiamo detto o pensato "se non capisci è inutile che te lo dica"?
Per un rapporto sano non c'è niente di più deleterio di questo!
Dare la responsabilità all'altro per cose che percepiamo, pensiamo e non diciamo è sempre opera di quel giudice che, per difenderti, sposta l'attenzione fuori di te incolpando l'altro.
Ma anche questa è un'illusione, lui è molto scaltro!
Infatti lì per lì puoi non sentire il suo attacco mentre suggerisce "tranqui: è colpa dell'altro" ma in realtà ti sta dicendo "sei una mezza sega" (permettimi il francesismo).
Quindi non ci si scappa!
Affrontare il giudice interiore è assolutamente necessario per riprenderti il tuo valore e per essere autonoma nel vero senso di indipendenza emozionale.
Non ti piacerebbe poter dire a tua madre: "mi spiace, mamma, ti voglio bene ma in questo periodo non sento il desiderio di incontrarti" senza sentire quel senso di colpa pressante e senza intaccare il tuo amore per te e per lei?
Se non comunichiamo chiaramente la nostra posizione, e quindi per primi non affermiamo il nostro valore intrinseco, il nostro comportamento lo suggerirà comunque, fornendo all'altro la necessità di interpretarci.
Per cui non lamentiamoci quando non ci sentiamo capiti.
E' nostra responsabilità farlo, non credi?
Finché crediamo vera l’idea che il nostro valore - e conseguente affermazione del nostro pensiero e delle nostre azioni - offenda o faccia soffrire l’altro, continueremo a manipolarci creando l’illusione di essere autonomi ma ci sentiremo costantemente in colpa.
Quindi, l'ho detto tante volte e lo ripeto, se è difficile per te percepire in tempo reale le tue emozioni, il modo per capire se stai subendo un qualsiasi attacco del giudice interiore è volgere l'attenzione al corpo: c'è tensione o rilassamento?
Prova subito: trova una situazione simile a quella sopra descritta. Prenditi un attimo di tempo e chiudendo gli occhi riportala con la memoria nel presente, qui e ora, e ascolta il tuo corpo.
Come stai? Analizza bene senza cambiar nulla e senza giudizio.
Cosa sta succedendo? Ci sono emozioni, sensazioni, tensioni? E se sì: dove sono? Cosa suggeriscono?...
Buona esplorazione
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Nel laboratorio di scrittura che sto organizzando nel mio studio a Villafranca nell'autunno 2018 affrontiamo questi temi.
http://www.counselart.it/liberta-di-essere-chi-sono/
Dagli un'occhiata e se ti piace partecipa.
Se abiti distante da Villafranca o da Verona e vuoi organizzarne uno nella tua città o associazione, scrivimi e vediamo cosa si può fare.
Ovviamente se sei lontana non posso venire tutte le settimane: possiamo però organizzare dei laboratori intensivi di una giornata.
Amo tantissimo questo lavoro e lo reputo il primo gradino per la propria evoluzione, quindi mi piacerebbe condividerlo con più persone possibili come contributo mio a un mondo più evoluto e cosciente.
Ciao e buona vita!
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Image credits: printerest
Sono questo e sono quello... tutte immagini e ruoli che in realtà sono in-form-azioni: azioni nella forma. Mi rappresentano ma non sono me.
Da dove nasce la sofferenza e cosa attivare in noi per superarla? Scopriamolo insieme